domenica 27 dicembre 2015

Lo "sguardo"del commissario Cantagallo

Nel giallo "Lo sguardo nel buio" l’oscurità della notte vuole truccare un delitto e nascondere nel buio lo spietato assassino che ha ucciso un cieco. L’uomo è stato barbaramente ucciso in una tetra viuzza del paese e il commissario Cantagallo deve far luce sul mistero che avvolge l’omicidio. Dal colloquio con un ristoratore cinese si aprirà sull’omicidio uno spiraglio di luce che con il suo fascio luminoso guiderà Cantagallo attraverso il buio fitto dell’indagine. Il commissario non seguirà solo una luce, ma dovrà anche decifrare un particolare simbolo e riconoscere una voce. Perché in questo giallo non tutte le tracce sono percepibili con la vista. Ci sono dei fatti che hanno una propria voce e che devono essere ascoltati con grande attenzione per smascherare il colpevole. Il commissario dovrà compiere un tormentato arresto per catturare l’omicida che con un delitto intendeva cambiare il proprio destino. Forse l’assassino faceva meglio a conoscere le lingue orientali, dove un antico detto cinese diceva: “È più facile deviare il corso di un fiume o spianare una montagna che cambiare l’animo di un uomo”. 
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Lo sguardo nel buio" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International e lo trovate anche su IBS al link qui sotto


(...) 

Capitolo uno

 

 

 

 

    Era una serata di fine settembre.
    Il commissario Cantagallo, appoggiato alla ringhiera della sua grande terrazza, osservava il buio che si allungava verso il paese e si godeva il fresco della sera.
Alle sue spalle, nel soggiorno, Iolanda discorreva nella consueta telefonata settimanale con sua sorella e Luigi disegnava dei personaggi manga di sua invenzione con carta e penna.
    Così, come tutti i dopocena che Dio metteva in terra da qualche tempo a quella parte, i Cantagallo erano in attesa del film di prima serata.
    Nel frattempo, il commissario scrutava il buio e gli tornavano in mente certi suoi pensieri ricorrenti sul potere ingannatore della sera. A pensarci bene, cos'era l'oscurità? L’oscurità era tutto un trucco della notte per camuffare le magagne della realtà che erano illuminate dalla luce del giorno. Infatti, la luce faceva risaltare i difetti delle cose, mentre l’oscurità li sapeva ben occultare, celando pecche, manchevolezze e altri guasti non visibili nel buio.
    A Cantagallo non piaceva la notte, il buio in particolare. Nell’oscurità si annidavano i criminali: era un dato di fatto conosciuto da tutti, anche da chi non fosse un poliziotto come lui. Nel buio, i delinquenti si sentivano autorizzati a compiere furti e delitti, come se quella cappa oscura li avvolgesse, li proteggesse, nascondendoli alla vista. La notte era una specie di lasciapassare per coloro che del crimine ne avevano fatta una scelta di vita e l’oscurità diventava una sorta di maschera, dietro la quale si nascondevano i criminali per agire indisturbati. La sua repulsione nei confronti della notte non era una deformazione professionale, ma una vera e propria avversione naturale. Il calare della notte spesso induceva le persone a compiere dei crimini che difficilmente avrebbero commesso durante il giorno. Tale condizione era conosciuta come “stato crepuscolare” ed era per tutto simile al sonnambulismo, ma poteva mettere le persone nelle condizioni di uccidere. Quindi, per il commissario era indubbio che di notte tutto potesse accadere, omicidi compresi, anche se di recente, in paese, non ce ne erano stati. Cantagallo, però, non si faceva troppe illusioni e già immaginava che da un momento all’altro gli sarebbe piombato un omicidio fra capo e collo. Non era un banale fatalismo. La sua esperienza gli faceva supporre che prima o poi sarebbe capitato: era nel normale corso delle cose della vita. E quando sarebbe accaduto? Non si dette una risposta e, quasi a cercarla in quel buio dove probabilmente si nascondeva, continuò a tenere lo sguardo fisso verso l’oscurità.
    In quella serata, però, non era il solo a cercare una risposta nel buio.
    «Bice! Bice! Vieni qua, piccolina! Dove sei?».
    Una signora anziana, disperata, cercava nei vicoli del paese la sua piccina. L’età della donna e l’oscurità dei luoghi angusti mal si coniugavano con la certezza del ritrovamento.
    «Dove ti sei cacciata? Birbona, ti avevo detto di non allontanarti!».
    Era sempre così fra nipoti e nonni. I nonni davano un dito e i nipoti si prendevano il braccio. Ma non si poteva chiedere di più a delle piccole creature innocenti.
    «Brutta vigliacca che si va sempre a nascondere! Se ti prendo, ti faccio il pelo e il contropelo!».
    Ma l’anziana donna cercava una nipotina smarrita?
    Forse, probabilmente.
    Poi si rivolse all'amica che l’aveva accompagnata nella spedizione di recupero.
    «Ovvia, Leontina! Fai qualcosa! Non star lì con le mani in mano! Aiutami a ritrovare la piccolina!».
    L’altra signora, anziana pure lei e un po’ malferma sulle gambe, la seguiva alcuni passi indietro con una torcia accesa in mano ed era poco convinta nella riuscita della missione.
    «Oh, Primetta!» e scuoteva la torcia. «È inutile che ti agiti tanto. Non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima. È settembre, è caldo ed è sempre la stagione degli amori. Non te lo ricordi più che in questo periodo Bice scappa sempre per qualche giorno per andare a fare l’amore con quel gatto che ha una macchia nera sull’occhio?!».
    Era proprio una nipotina quella che stavano cercando?
    Sicuramente no.
    Non si trattava di una bambina che si era allontanata, ma di una gatta che era sfuggita di casa alla signora Primetta Brogioni, la gattaia del vicolo San Giorgio di Collitondi.
    Primetta tolse di mano la torcia all’amica, con uno strattone tale che rischiò di buttare in terra Leontina. Poi puntò la torcia e illuminò intorno. In basso, dietro un angolo scuro di una stradina, vide scodinzolare la coda nera della sua gatta. Si avvicinò e si abbassò per prenderla di sorpresa.
    «Ti ho presa, finalmente, birbona e girellona d’una gatta!».  
    Mentre l’acchiappava sollevò gli occhi e lanciò un grido di terrore.
    «AAAHHH!!!».
    Leontina non resse all’urlo di terrore. Fu colpita da un malore e stramazzò a terra.
    Il corpo di un uomo, immobile, era disteso sulla strada a faccia in su. In terra, accanto al corpo, c’erano un cappello, un paio di occhiali neri e un bastone bianco da cieco ancora stretto nella mano destra. Un rivolo di sangue dietro la testa faceva capire che per lui non c’era più niente da fare.
    La Polizia fu avvertita subito e dopo un po’ tutti gli addetti ai lavori furono sul posto, anche gli uomini della Polizia Municipale con il loro comandante Cherubini.  
    «Buonasera, Cantagallo» fece il comandante quando vide arrivare il commissario. «Un delitto orribile. Ma come si fa ad ammazzare un uomo cieco? Una rapina andata male?».
    «Buonasera, Cherubini» scuotendo il capo. «Proprio una brutta vicenda. Rapina? Forse.».
    In quel mentre arrivò anche la vice, la dottoressa Turchi.
    «Che è successo?».
    «Hanno ucciso un uomo, un cieco. Forse a scopo di rapina, ma è troppo presto per dirlo».
    «Un cieco?».
    «Sì, un cieco. Anche stavolta ha scoperto tutto la Brogioni mentre cercava la sua gatta».
    «Ma è incredibile! Allora, è davvero la “signora Omicidi” di Collitondi!».
    «Lasciamo perdere i gialli e stiamo coi piedi per terra. Stavolta la Brogioni non era sola. Con lei c’era un’amica, una certa Leontina Agnorelli. Ha avuto un lieve malore e poi si è rimessa in sesto con l’aiuto della Brogioni. Le due donne non hanno visto nulla e non possono esserci d’aiuto. Coincidenze a parte, aspettiamo quelli della Scientifica e il resoconto di Stroncapettini. A quelli della Municipale ho detto di tenere lontano i curiosi. Mi faccia il solito favore di avvertire i familiari della vittima e di far perimetrare l’area, come al solito».
    I colleghi di Cantagallo non tardarono ad arrivare.
    Quelli della Scientifica arrivarono poco dopo da Castronuovo. Stroncapettini, il medico legale, dette un saluto di sfuggita a Cantagallo e poi si mise all’opera sul cadavere dell’uomo.
    «Ciao, Angelo» disse scocciato il medico. «Mi raccomando. Finché non ho finito, non voglio tra i piedi Razzo e Bandino che pesticciano sempre intorno come degli avvoltoi. Quando ho finito vi faccio un fischio! Capito?».
    «Capito, Paolo» rispose asciutto Cantagallo che poi aggiunse. «Ma che ti girano i coglioni?».
    «Sì! E allora? Non mi possono girare i coglioni? Sabato notte, a Castronuovo fuori da una discoteca, un ubriaco ha spaccato la testa a un ragazzo per un apprezzamento pesante alla sua donna. Domenica mattina, una donna irriconoscibile è stata trovata morta da qualche giorno in un fosso lungo la strada fuori Castronuovo. Lunedì sera, una casalinga ha accoltellato il marito perché non le ha fatto vedere una fiction. Stasera, sono alla fine di una cena fra ex universitari e mi piomba fra capo e collo questo morto ammazzato e cieco, per giunta! E tu mi chiedi se mi girano i coglioni?».
    «In effetti» annuiva Cantagallo «una bella settimana piena».
    Stroncapettini sparì dietro l’angolo e dopo una ventina di minuti era di ritorno.
Si chinò per passare sotto il nastro bianco e rosso che delimitava l’area del delitto, si tolse i guanti in lattice. Quello era il segnale che aveva finito ed era pronto a riferire a Cantagallo quello che aveva visto.
    «C’è poco da dire. La vittima è un uomo cieco di statura media, capelli brizzolati e occhi castani, età poco più di settanta anni, ucciso per i numerosi colpi ricevuti sul corpo e per una botta riportata dietro la testa a causa dell’impatto violento contro il muro della strada. Il muro è sporco di sangue nel punto in cui c’è stato l’impatto con la testa. L’uomo è stato picchiato violentemente. Sono presenti degli ematomi in tutto il corpo dovuti probabilmente ai violenti colpi inferti dall’aggressore. I colpi sono stati portati anche con un corpo contundente, forse una spranga di ferro. Non escludo che l’aggressore abbia inferto dei calci alla vittima quando era già a terra. Da un esame sommario del corpo e delle mani della vittima si nota l’assenza di residui di qualsiasi tipo sotto le unghie. Niente in bocca. L’uomo è morto in seguito a una violenta aggressione. Per me, chi ha aggredito l’uomo voleva ucciderlo. Saprò essere più preciso dopo l’autopsia, come sempre».
    Il dottor Baglioni, con la parlantina degna di uno dei migliori avvocati del Foro castrese, aveva così refertato il cadavere dell’uomo ucciso.
    «Grazie, Paolo. Il tempo di fare i nostri rilievi e ti lascio rientrare».
    «Prego, Angelo» rispose più cordiale il medico. «Scusa per prima, ma a volte mi scappa la pazienza dalle mani».
    «Che ci vuoi fare, non hai più vent’anni e l’età c’è».
    «Che vuoi dire? Che sono rincoglionito?!».
    «Io?! E chi l’ha detto? L’hai detto tu!».
    «Lasciamo perdere, sennò mi comprometto. Allora, siccome non ho più vent’anni, sbrigati a fare quello che devi fare perché come tutti gli anziani ho l’abitudine di rientrare presto a casa».
    Quel delitto non si presentava semplice per il commissario Cantagallo: nessun testimone e niente arma del delitto. Le uniche informazioni conosciute riguardavano l’uomo ucciso, per il resto buio pesto. Bandino e Razzo avevano riferito tutto quello che avevano trovato addosso all'uomo ucciso nella perquisizione del corpo. La famiglia fu avvertita dalla vice di recarsi sul posto e il dolore dei familiari fu straziante. Nessuno di loro riusciva a capire perché fosse stato ucciso. 

 

 

(...) 

Auguri!

AUGURI DI BUON NATALE 
E SERENO ANNO NUOVO! 
Fabio

domenica 20 dicembre 2015

I gialli di Cantagallo sono sempre con te

Concedetemi una ripetizione di questo pensiero accostato a un'immagine della terra toscana. Una strada tortuosa, normale all'apparenza come tante altre, ma per certi aspetti sconosciuta che si allunga verso luoghi e persone dai contorni impalpabili. Un po' come in una storia dei gialli di Cantagallo, con la differenza che il commissario saprà trovare la strada giusta che lo porterà a catturare il colpevole. 
Per chi non lo avesse ancora capito, ripeto anche il messaggio pubblicitario che piace a tutti, dai grandi ai piccini, ma soprattutto al mio carissimo Editore. 
I gialli del commissario Cantagallo sono editi da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International e li trovi in vendita online anche su Feltrinelli
http://www.lafeltrinelli.it/ebook/marazzoli-fabio/1226651 


sabato 19 dicembre 2015

Video "I gialli di Cantagallo non vanno in vacanza"

Il video dei nuovi gialli del commissario Cantagallo: un poliziotto che non va in vacanza!
Lo potete trovare qui su youtube all'indirizzo https://youtu.be/EcaKwRvYuy0


I gialli del commissario Cantagallo sono editi da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International e sono in vendita online anche qui  su Ibs
http://www.ibs.it/ebook/ser/serpge.asp?aut=0&txt=Marazzoli+Fabio&ep=

I gialli di Cantagallo non vanno in vacanza

I gialli di Cantagallo sono sempre con te,
come un compagno di viaggio lungo i meandri 
di indagini misteriosamente gialle
che si snodano nella splendida terra toscana. 

I gialli del commissario Cantagallo della Cavinato Editore International sono in vendita online anche qui 
Ibs
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Feltrinelli
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Mondadori
http://www.mondadoristore.it/ebook/Fabio-Marazzoli/aut00351377/

Il "tappeto" del commissario Cantagallo

Nel giallo "Un vecchio tappeto persiano" la magia di una notte racchiude un furto misterioso e un terribile omicidio dai contorni impalpabili. Fuochi d’artificio e furti artificiosi, tappeti del magico oriente e riti di magie nostrane, omicidi non comprensibili e assassini da comprendere: questo e altro ancora sono gli ingredienti della torbida indagine che mette a dura prova le qualità investigative di Cantagallo. Molti sono i fatti da capire e tante le tracce da mettere insieme in una lunga serie di delitti che non sembrano stare insieme nemmeno con l’attacca-tutto. Ma non tutto si può capire quando a “parlare” è un tappeto orientale. Ed è proprio un vecchio tappeto che “parla” a Cantagallo e gli indica una precisa pista investigativa. Tutto accade nell’ultima notte quando il commissario, con un’abile mossa, riuscirà a fare compiere un passo falso all’omicida. Cantagallo farà tutti i passi giusti per raggiungere il colpevole perché il suo amico persiano gli ha detto: “Allunga il passo secondo la grandezza del tuo tappeto”.
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International e lo trovate anche su IBS al link qui sotto http://www.ibs.it/ebook/Marazzoli-Fabio/Un-vecchio-tappeto/9788899121303.html
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Capitolo uno








    "La notte porta consiglio" diceva un proverbio, ma chi l’aveva detto? A Cantagallo non capitava mai. Gli bastava sfiorare la federa del cuscino per piombare nel sonno più profondo. Non aveva mai sognato consigli o suggerimenti. E soprattutto non lo aveva mai desiderato prima di addormentarsi. Si perse dietro a questo pensiero mentre dalla sua terrazza osservava l’orizzonte, dove l’astro notturno stentava a farsi vedere, chissà poi perché. Se valeva il detto: “Gobba a ponente, luna crescente”, quella notte poteva valere anche quello che si era inventato testé: “Plenilunio a levante, luna riluttante”.
La luna piena indugiava fra le mura del Cassero, sopra la pendice orientale del Colle Tondo. Come una grande diva, si faceva attendere. Non voleva farsi vedere perché la sera prima, alla tv, uno scienziato saputello aveva detto che sarebbe apparsa più grassa o più grossa, non ricordava bene. Il saputello aveva aggiunto che quel particolare effetto era dovuto a un cambiamento astrale, eccetera eccetera eccetera. Saputello di uno scienziato, tutto chiacchiere e occhiali! Un pettegolezzo bello e buono, altroché! Ma che cambiamento e cambiamento, era solo un po' più in forma, ecco tutto. Se non era tirata in ballo per vampiri o lupi mannari, c'era sempre uno scienziato di turno che metteva in giro una maldicenza. E da chi era stato imbeccato? Ma certo, da quelle sue cugine alla lontana parecchio: le stelline dei segni zodiacali. Invidiose, imbrillantinate e impertinenti che da sempre influenzavano i miseri mortali. Mentre ci rimuginava, a un tratto, lungo le mura furono accese delle fiaccole, le cui fiamme avrebbero reso ancor più suggestivo il chiaro di luna. Quello era il momento giusto. Ruppe gli indugi e si mostrò in tutto il suo splendore. Nel sollevarsi notò, nella parte centrale del colle, un’ampia zona illuminata che brulicava di persone. Non capiva tutto quel gran fermento, proprio la sera di quel ventuno di giugno. Rimase lì, un po’ perplessa. Pensava e ripensava, ma quella data non le faceva venire in mente proprio niente. Si rassegnò, senza preoccuparsene troppo. D’altronde la sua natura lunatica non la obbligava di ricordare tutti gli avvenimenti del calendario e non le dette importanza. Ma non era l’unica a non essere interessata.
Dalla parte opposta, sul Colle al Vento, due tipi loschi dal goffo aspetto da ladri di polli trafficavano all’interno di una villetta isolata.
Uno, spilungone e ingobbito con l’aria a pesce lesso e dall’accento toscano, si muoveva a tentoni nel buio pesto di uno stretto corridoio. Chiamava a voce alta il compare agitando una torcia spenta. 
«Ignazio! Ignazio! Ignaziooo! Dove sei?»
L’altro, bassotto e tarchiato dallo sguardo scaltro e dall’accento siciliano, armeggiava al portoncino della casa. Tentava di calmare il compare senza fare confusione. Anche lui aveva in mano una torcia spenta e si tratteneva dal dargliela in testa.
«Loris, scimunito! E dove devo essere? Sono qua, a chiudere la porta. Non fare casino e stai muto, che ti sentono da fuori. Fai quello che ti dico io, altrimenti, a schifìo finisce.»
«Scusa, Ignazio. Allora faccio quello che dici te.»
Lo spilungone si tranquillizzò, ma andò a sbattere contro un mobile.
«Ahia che botta! Non si vede un tubo!»
«Scimunito! Ora puoi accendere la torcia. Le finestre sono chiuse e nessuno ci può vedere da fuori. Capisti?»
Il toscano dopo averci pensato un po’ si convinse e l’accese.
«Ecco fatto. Ora sì che vedo bene!»
«E stai muto!» trattenendo un'imprecazione e sollevando gli occhi al cielo.
I due s’incamminarono verso il soggiorno della casa con il fascio oscillante delle torce che illuminava il loro passaggio. Poi arrivati, si fermarono. Il siciliano controllò un foglio che aveva in mano.
«Loris, pigliasti i sacchi grandi?»
Silenzio.
Il bassotto era incavolato. Stava per perdere la pazienza. Teneva serrata l’impugnatura della torcia con il fascio di luce rivolto verso l’alto e puntava dritto la testa dello spilungone.
Sembrava il potente Joda con la spada laser attivata pronto a sferrare il colpo contro il diabolico Dart Fener.
«Loris, allora?! Ma che ti sei rimbambito?»
Lo spilungone si era imbambolato. Osservava a bocca aperta il ricco arredamento della stanza. Non doveva avere mai visto una casa così. Poi si riprese e con un tono di superiorità, degno del Signore del Lato Oscuro, rispose al bassotto.
«Ignazio, ma non mi hai detto che devo stare zitto?»
«Loris, scimunito! Ti dissi di non fare casino. Non ti bastò che l’ultima volta ci arrestarono per colpa tua. Ricordasti?»
«Sì, Ignazio. Ma stavolta in casa non c’è nessuno. Allora, starò zitto.»
«Mih! Quanto sei duro!» e gli assestò una manata “stellare” sulla nuca.
«Ahia, che botta! Mi fai vedere le stelle.»
Ovviamente.
«Se ti faccio una domanda, mi devi rispondere. Ora capisti?»
«Ora ho capito» mentre si teneva la testa per la botta.
«Bravo.»
Lo jedi e il Signore Oscuro si erano finalmente intesi.
«Loris, pigliasti i sacchi grandi?»
«Sì, Ignazio.»
Silenzio.
«Me lo dai un sacco grande, sì o no?»
«Ma non me l’hai mica chiesto! Prima hai detto: “Se ti faccio una domanda, mi devi rispondere”. Io ti ho risposto e ti ho detto sì. Cosa c’è che non va bene?! Hai capito?»
«Ho capito! Ho capito! Dammi il sacco grande!»
«Oh, vedi che hai capito! Ecco il sacco grande, capo!»
«E non chiamarmi “capo”! Quante volte te lo devo dire! Poi, per abitudine, lo dici quando ci sono altre persone e…»
«…a schifìo finisce!»
«LORIIIS!»
«Non parlare a voce alta che ti sentono da fuori, Ignazio.»
«E non mi prendere per il culo, scimunito!» e gli assestò una gomitata nel fianco.
«Ahia, che botta! Mi hai fatto male» piagnucolò l’altro piegandosi in due.
Il bassotto era sfinito. Con lo spilungone era sempre la stessa storia e non poteva farci niente. Per certe vicende di parentela si era ritrovato come compare quel cugino toscano di terzo grado. Non era un pozzo di intelligenza ma dopo averci lottato un po’ faceva tutto quello che gli veniva detto di fare, ubbidiente come un cane al guinzaglio.
Il siciliano si tratteneva da dargli un cazzotto in bocca. Non ce la faceva: era come fare del male a un bambino cretino, anzi scimunito.
«Per te c’è un proverbio delle mie parti che dice: “Mistura, metticinni ‘na visazza, falla comu la vua, sempri è cucuzza!”.»
«Che vuol dire?»
«Ti spiego. Dalle mie parti, sta a significare che una zuppa di zucca anche se la mescoli, se ci metti altre verdure e la fai come ti pare, sempre di zucca ha il sapore. Allora, se uno è uno scimunito anche se gli dici di fare le cose per bene, glielo dici e glielo ridici un’altra volta sempre scimunito rimane. Capisti?»
«Allora, Ignazio, è come quando noi toscani si dice: “Non si può cavare il sangue da una rapa”.»
«Bravo, Loris. Capisti.»
Il lavoro dei due proseguiva. Il siciliano leggeva la lista degli oggetti scritta su un foglio, osservava gli oggetti, li sceglieva e poi indicava al toscano di metterli dentro i sacchi. Alla fine Ignazio prese i tappeti che erano scritti sulla lista e li portò nel furgone. Avvertì il compare che, dopo aver preso gli oggetti della lista, sarebbero rientrati nella casa per prendere altre cose, ma per loro. Si raccomandò di prendere solo roba preziosa e non i soliti souvenir come faceva abitualmente.  Loris, infatti, non capiva assolutamente nulla del valore degli oggetti. Lo spilungone lo rassicurò annuendo col capo e dicendogli di non preoccuparsi perché stavolta avrebbe scelto un oggetto veramente prezioso. Il bassotto gli ricordò che dovevano sbrigarsi perché c’era da fare un altro lavoretto in paese. Il siciliano era nel soggiorno per scegliere degli oggetti d’argento. Il toscano era nello studio ad osservare tutto l’arredamento per capire cosa potesse portare via. Dopo un po’ lo spilungone era di ritorno, tutto soddisfatto e con un tappeto arrotolato sulle spalle. Era raggiante come se avesse trovato un tesoro.
«Oh, Ignazio! Vu cumprà? Prezzo bono, costa poco!»
«Loris, ma proprio scimunito sei? Che pigliasti?»
«È un tappeto bellissimo. Varrà un sacco di soldi! Lo posso prendere?»
«Prendilo. Caricalo sul furgone insieme all'altra roba e andiamo via alla svelta. I padroni potrebbero arrivare da un momento all’altro e se ci trovano…»
«…a schifìo finisce!» concluse l’altro, sghignazzando.
«Loriiis! Grandissimo cornuto!»
Il siciliano, d’impeto, cercò di assestargli un calcio nel culo ma non ce la fece perché lo spilungone aveva capito la malaparata e si era di poco allontanato. La gamba robusta ma corta non riuscì ad arrivare al fondo schiena del compare. Il toscano schivò la pedata e, tappeto in spalla, prese la corsa verso l’uscita fra le imprecazioni dell’altro che lo inseguiva.

Intanto altre attività fremevano nella casa della famiglia Cantagallo. Era San Luigi ed era il giorno del compleanno del figlio del commissario. Abitualmente si riunivano insieme alla famiglia della cognata del commissario, i Benincasa. Cenavano, tagliavano la torta e poi guardavano i fuochi d’artificio in onore del santo patrono. Era una delle poche occasioni per ritrovarsi insieme a Giovanni, Olga e al loro unico figlio, Sergio, coetaneo di Luigi.
I fuochi d’artificio sul Colle Tondo iniziavano sempre in orario, alle dieci di sera spaccate. Mancava poco all’ora d’inizio.
«Venite fuori. Fra poco dovrebbero iniziare!» disse il commissario, rivolto al resto della compagnia che era seduta nel soggiorno.
«Arriviamo» risposero in coro gli altri, alzandosi.
Nell’aria notturna, in lontananza, una luce bianca sfavillante squarciò l’oscurità del cielo sopra la Fortezza Medicea, arroccata in cima al colle dove riposavano i resti delle case medievali del paese.
Seguì un sibilo assordante.
«Ci siamo! Occhio al botto d’inizio» esclamò Luigi, tutto eccitato.
Appena finì la frase un boato assordante riempì la vallata.
«È il botto di San Luigi…» biascicò Sergio, per niente emozionato.
Tutti i componenti delle due famiglie si misero appoggiati con i gomiti al davanzale della terrazza. Si preparavano ad assistere allo spettacolo pirotecnico collitondese dell’anno.
I botti di San Luigi erano un evento per tutta la Val Marna.
Il cielo buio, di volta in volta all’esplodere di ogni fuoco d’artificio, s’illuminava con il riflesso dei colori sprigionati dal botto. Alcuni erano splendidi, come quello chiamato “Cascata di Stelle” dove una pioggia di migliaia di lunghissimi raggi dorati ricadeva verso il basso, con un effetto rallentato che simulava una gigantesca cascata del colore dell’oro. Negli ultimi anni la “Cascata” era sempre presente e ogni volta suscitava stupore e meraviglia.
«Babbo! Babbo!» riprese Luigi eccitato. «Fra poco arriva quello bello, lo sento!»
«Arriva, arriva. C’è sempre tutti gli anni» fece Sergio annoiato.
E puntuale la “Cascata” si manifestò in tutta la sua bellezza.
«Ogni anno è sempre più bello!»
«Per me, è sempre lo stesso.»
I due cuginetti si guardavano storto.
«Buoni, voi due» disse Olga che aveva già annusato aria di litigio fra i due cuginetti che, nonostante facessero le medie, trovavano sempre qualcosa per cui litigare come due bambini piccini. «Guardate i fuochi e non bisticciate.»
I fuochi d’artificio si conclusero, come da tradizione,  alle dieci e mezzo. Tre botti assordanti seguiti da un silenzio assoluto fecero capire a tutti che lo spettacolo era finito.
L’atmosfera magica com’era arrivata, se n’era andata.
Rimasero a parlare un po’ in terrazza per godersi il fresco. Poi lo squillo del telefono di casa risvegliò i pensieri del padrone di casa.
«Pronto, commissario Cantagallo.»
«Sono Nicoletta. Mi dispiace disturbarla proprio durante il compleanno di suo figlio, ma hanno denunciato un furto.»
Nicoletta Turchi, vice di Cantagallo, spiegò che era stato denunciato un furto in una villa che si trovava in località Ginestreto, sul Colle al Vento, in via Pietro Nenni al numero 67. Era una monofamiliare di proprietà dei signori Trosino ed erano stati proprio loro, al ritorno dal mare, a chiamare la Polizia. La donna che aveva chiamato, la signora Ninetta, era disperata.  Al loro rientro avevano trovato la porta aperta e scassinata. L’impianto d’allarme doveva essere stato messo fuori uso dai ladri. La signora aveva denunciato il furto ma non era stata in grado di dire di più. Era sempre sconvolta da quello che era successo e da come aveva trovato la casa. Il commissario disse alla vice di avvertire Bandino e Razzo per farli andare alla villa dei Trosino. L’avvertì di fare perimetrare le stanze della casa svaligiata, anche se non si trattava di un delitto. Si ricordava che l’ultima volta che accadde un furto in una villa il Questore lo rincoglionì di chiacchiere perché sosteneva che avevano sottovalutato la situazione. Guarda caso, la villa era di una cugina di terzo grado di Zorro, eccetera eccetera eccetera. Quindi Cantagallo voleva coprirsi le spalle e anche qualcos’altro che si trovava un po’ più in basso. Si raccomandò che Bandino e Razzo non toccassero niente. Se proprio non ce la facevano, avrebbero dovuto utilizzare i guanti e le soprascarpe. Nessuno, oltre a loro e ai proprietari, doveva stare nei dintorni della villa. Se i ladri erano veramente degli sprovveduti potevano aver lasciato in giro molte tracce. La vice doveva seguire tutte le operazioni fino al suo arrivo. Poi Cantagallo chiuse la telefonata. Posò la cornetta malamente ed era scocciato.
«Guai in ufficio?» chiese Iolanda.
«Sì, meno male non si tratta di un delitto.»
«Grazie a Dio! Ma non c’è Nicoletta? Devi andare per forza anche tu?»
«Nicoletta c’è, ma preferisco esserci anch’io. Il posto è qui vicino e spero di fare presto. Mi dispiace» e accennò un piegamento del capo «ma “Obtorto collo”, come direbbe il Questore.»
«Angelo!» esclamò Giovanni. «Ma che fai?! Ti metti a parlare in latino? Non mi hai sempre detto che hai il rifiuto per questa lingua morta e sepolta?»
«È vero. Ma il Questore mi ha talmente infarcito di frasi in latino che a volte mi scappano fuori da sé. Ti faccio un esempio. È come quando a un pollo ripieno esce di fuori il condimento perché ce n’è troppo. Ora però devo scappare.»
Uscì dal portone di casa e salì sull’auto per recarsi alla villa
Trosino. Nel giro di dieci minuti era già lì. La villa era molto bella e solo una piccola siepe, ben curata e non troppo alta, la celava dalla vista delle persone che si potevano trovare sulla strada.
La vice era già arrivata, Bandino e Razzo ancora no.
«Buonasera, commissario.»
«Buonasera, dottoressa. I Trosino dove sono?»
«Sono in casa per vedere cosa è stato rubato.»
I signori Trosino le avevano riferito che i ladri non si erano accorti di una piccola telecamera che era posizionata all’esterno, poco lontano dall’entrata della casa e nascosta fra le piante. Gliela indicò e gli mostrò il portoncino da dove erano entrati i ladri. Lo dovevano avere forzato facilmente utilizzando un piede di porco. La vice spiegò al commissario che aveva visionato la cassetta della video registrazione. Non era riuscita a vedere in volto i due ladri ma in compenso si era fatta delle risate nel vederli in azione. Verso la fine del filmato la telecamera aveva ripreso il ladro più alto che usciva di corsa dalla villa inseguito da quello più basso che con il braccio destro alzato agitava una torcia accesa. Quello basso gli stette dietro per un po’ mentre quello alto girava intorno al furgone. Poi si erano fermati tutti e due. Quello basso gesticolava verso quello alto che si era curvato vicino alla parte posteriore del furgone per depositare il fardello che aveva sulle spalle. Quando però quello alto si era piegato in avanti, quello basso
 da dietro gli aveva sferrato una pedata nel culo che lo aveva fatto finire dentro il furgone. Visto che le immagini erano in bianco e nero e senza audio, sembrava di vedere una comica di Stanlio e Ollio.
La vice in tutto quel trambusto aveva notato che il tipo alto aveva sulle spalle un oggetto strano, molto lungo e ingombrante. Rivedendo il filmato aveva capito che si trattava di un tappeto.


(...)