domenica 31 luglio 2011

Il filo di Arianna - Decima parte


Il filo di Arianna - Decima parte

La porzione abbondante di strozzapreti obbligò Cantagallo, Razzo e Bandino alla solita passeggiata digestiva del dopo pranzo lungo la pedonale del fiume Marna. Il commissario rifletteva insieme ai due colleghi su quelle frasi sottolineate nel libro.
“Perché un tipo insignificante come il Mucci legge sempre la Divina Commedia?”.
“Sembra più un tipo da giornaletti pornografici” – rispose Bandino.
“Giusto. È lì che volevo arrivare” – disse Cantagallo.
“Quel Mucci non mi è piaciuto appena l’ho visto. Non mi sembra un uomo di cultura” – ribadì Razzo, scuotendo la testa. –“Poi, chissà perché ha sottolineato la frase che dice che qualcuno scende da qualche parte in un luogo più piccolo…”.
Cantagallo, a sentire le parole di Razzo, si fermò un attimo, pensò a qualcosa e poi riprese a camminare più veloce.
“Ci siamo!” – disse Cantagallo agli altri due. –“Accelerate il passo. Abbiamo il nostro uomo”.
“In che senso, commissario?” – chiese Bandino.
“Vi dirò tutto in riunione. Sbrighiamoci” – e allungò il passo verso il commissariato.
Alle tre la stanza da lavoro era pronta e i colleghi della squadra erano già arrivati.
Stavolta nel pannello di destra il commissario aveva affisso la stampa delle pagine sottolineate della Divina Commedia. C’era anche un foglio bianco con scritto a pennarello un nome e un cognome seguiti da un punto interrogativo.


PATRIZIO MUCCI? 



Il commissario prese la parola.
“Ho scritto su quel foglio il nome di Patrizio Mucci perché secondo me è la persona che cerchiamo e il motivo della mia scelta lo saprete alla fine del mio ragionamento. A costo di essere noioso vi ricordo il mio pensiero che è anche lo spirito con cui cerco di condurre le indagini di questo commissariato. Io rincorro un’illusione: analizzare scientificamente la scena del crimine per scoprire il colpevole. Voglio osservare e capire ogni singolo indizio raccolto nell’indagine per comporre il mosaico criminale e prendere il responsabile del delitto. Questo con la collaborazione di tutti voi. Nessuno escluso”.
Il commissario cercava sempre di migliorare la propria tecnica d’analisi dei fatti criminali e dava sempre indicazioni ai suoi uomini perché adottassero tale metodo. Il suo non era probabilmente un metodo infallibile, ma gli aveva sempre permesso di assicurare alla Giustizia molti delinquenti. Cantagallo inquadrava ogni crimine in quello che amava definire come il “mosaico criminale”. Ogni indizio era come il singolo pezzo di un mosaico che doveva essere composto per scoprire il colpevole. Ogni pezzo del “mosaico criminale” doveva avere la sua precisa collocazione. Un singolo pezzo poteva essere anche un’ipotesi investigativa, ma come ogni ipotesi doveva essere suffragata da una prova certa e incontrovertibile. Prima la teoria universitaria con la laurea in Scienze Politiche e poi la sua precedente esperienza di poliziotto gli avevano fatto maturare l’idea del “mosaico criminale”. Per raffigurare questo concetto, dietro la scrivania, aveva attaccato al muro la stampa della riproduzione del mosaico della “Battaglia di Isso”. Per gli storici del tempo, quel mosaico rappresentava l’intelligente vittoria di Alessandro Magno sul re persiano Dario. Dario volle affidare la sua vittoria solo al gran numero di uomini, ma fu sconfitto: la forza numerica si trasformò in una debolezza operativa. Alessandro aveva una forza numerica molto inferiore, ma più agile e vinse con un minor numero di uomini. Questo era un altro concetto che piaceva a Cantagallo che si era dotato di un “esercito” di nove poliziotti per scoprire i criminali. Nel corso delle riunioni il commissario ripeteva ai colleghi lo stesso concetto fondamentale che ogni indizio, anche quello più insignificante, poteva essere importante nell’indagine. Qualsiasi indizio non doveva mai essere sottovalutato. Ogni indizio era il singolo pezzo di un grande e complesso mosaico. Preso da solo non faceva capire di quale mosaico si trattasse, quando però era insieme con gli altri pezzi, aiutava il mosaico a prendere forma e la verità si spalancava davanti agli occhi, chiara e intelligibile. Per Cantagallo erano proprio gli indizi e gli oggetti trovati sul luogo del delitto che “parlavano” di quel crimine. Sembrava strano, ma certe volte gli oggetti “parlavano” a Cantagallo. Non in modo chiaro e udibile da tutti, semmai, ognuno di loro parlava a Cantagallo con un linguaggio particolare che doveva essere bene interpretato, per essere compreso nel modo giusto. Ogni oggetto parlava una lingua ai più sconosciuta, ma che poteva essere compresa da un attento investigatore. Un bravo poliziotto era in grado di fare da “interprete” e interpretare il significato di quello che ogni oggetto voleva dire. Stava al poliziotto capire il linguaggio degli indizi trovati durante ogni indagine, decifrarne il messaggio e scoprirne il vero contenuto, che avrebbe contribuito alla soluzione del caso poliziesco. Spettava agli investigatori raccogliere tutti i pezzi del mosaico per fare emergere la verità e arrestare il colpevole.

Cantagallo fece una pausa e poi continuò il discorso.
“Ho pensato a lungo alle frasi sottolineate dal Mucci e mi è venuta in mente un’idea. Pensavo questo. Abbiamo le tracce di un filo da imbastire lasciato dalla nipote lungo un percorso che va dalla casa della nonna Piera all’ascensore del palazzo e le frasi sottolineate dal Mucci del quinto canto dell’Inferno della Divina Commedia dove si parla di un amore che deve essere corrisposto e di un luogo piccolo che si trova scendendo di un piano. Nero e Manno, durante il loro controllo, non hanno detto di aver notato grande movimento nel palazzo. I casi sono due: la nipote è stata trasportata dall’assassino fuori dal palazzo oppure…” – e fece di nuovo una pausa – “…è sempre dentro il palazzo rinchiusa in un luogo piccolo che si trova scendendo le scale!”.
I colleghi ascoltavano in silenzio il commissario e cercavano di comprendere le nuove informazioni che Cantagallo diceva durante il suo ragionamento.
Antica volle dire la sua opinione.
“Commissario, sono d’accordo con lei. Mi sono documentata meglio su quel canto e le confermo quello che lei ha appena detto. Inoltre in quel canto è protagonista pure Minosse, il padre dell’Arianna della mitologia greca, che giudica le anime e stabilisce le pene da infliggere. In quel canto si parla di amore, di dolore, di luogo dove c’è poco spazio e di morte”.
Cantagallo, visibilmente soddisfatto, continuava.
“Brava, Antica. Avete sentito? Si parla di cose che sono tutte presenti nel nostro mosaico criminale: l’amore del Mucci verso una donna che però non lo ama, il dolore di lui per questa sofferenza che lo spinge a sottolineare certi versi della Divina Commedia e l’assassinio passionale di una donna”.
“E questo posto piccolo dove caspita sarebbe?” – chiese la vice. 
“Le rispondo con un’altra domanda”- fece Cantagallo, sorridendo - “perché so già che lei saprà darsi da sola la risposta alla domanda che mi ha appena fatto. Se dal piano terreno del palazzo si scende di un piano, dove ci troviamo?”.
“Nelle cantine del palazzo!” – rispose la vice. – “Ma è giusto, commissario!”.
“Appunto” – continuò Cantagallo – “è proprio lì che il Mucci ha portato Arianna per tenerla nascosta. Aveva visto troppo, ma non se l’è sentita di ucciderla. Per me, il Mucci desiderava morbosamente Franca e non le aveva mai confidato il suo amore. Franca era la domestica della signora Piera da alcuni mesi e il Mucci aveva deciso di farsi avanti con Franca solo il giorno in cui poi l’ha uccisa. Il Mucci ha visto che la signora Piera era uscita e con una scusa di qualche lavoretto da fare in casa, è salito, si è fatto aprire. Sono andati in cucina e lui ha dichiarato il suo amore alla donna.  Franca però ha rifiutato l’amore del Mucci e lui d’impeto, come ha descritto il dottor Baglioni, ha preso un coltello in cucina e l’ha uccisa. Deve essere successo tutto velocemente e, per me, il portiere non deve avere premeditato l’omicidio. Il Mucci era confuso dall’eccitazione del momento e non si era nemmeno accorto della presenza di Arianna in salotto. Quando Arianna, nel sentire la confusione, è accorsa in cucina il Mucci non ce l’ha fatta ad ucciderla. Arianna non gli ha fatto niente, ma è un testimone scomodo e lui decide di nasconderla in un locale delle cantine del condominio. Arianna con una scusa convince l’uomo che deve prendere qualcosa in salotto, forse il giubbotto per coprirsi dal freddo, e ne approfitta per prendere il rocchetto del filo da imbastire. Un pezzo lo arrotola a una gamba della sedia, prende il giubbotto e va con il Mucci. Il portiere, forse, si ferma sulla porta di casa per controllare che non ci sia nessuno e di nuovo Arianna ne approfitta per staccare un altro pezzo di filo e arrotolarlo al pomello della porta. Escono da casa, e il Mucci decide di andare in cantina con l’ascensore per non essere visto e qui Arianna arrotola l’ultimo pezzo di filo alla vite dell’ascensore. Quella ragazza ci ha indicato la strada e noi dobbiamo seguirla. Dobbiamo muoverci con molta attenzione per incastrare il Mucci stanotte e liberare la ragazza. L’ipotesi della cantina come luogo dove è rinchiusa la ragazza è plausibile, ma non è sicuro al cento per cento. Se il Mucci fa il duro e non abbiamo prove certe della sua colpevolezza, lo possiamo tenere in stato di fermo solo per ventiquattro ore. Se non confessa e non dice dove ha nascosto la ragazza, Arianna non la ritroviamo più e la ragazza può essere in pericolo di vita. Bisogna fare uscire allo scoperto il Mucci e ora vi spiegherò come. Ascoltatemi attentamente”.

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